La recente prassi dell’agenzia delle entrate e la giurisprudenza di legittimità delimitano i confini tra pianificazione fiscale estera e indebito vantaggio.
PRIMA PARTE
Il fenomeno dell’esterovestizione, che abbiamo trattato nei suoi tratti generali in un nostro precedente articolo, è un fenomeno fiscale riguardante la fittizia residenza delle società in Paesi con un trattamento fiscale di vantaggio.
Di fatto, dunque, l’attività societaria persegue il suo oggetto in Italia. Infatti, lo scopo principale della localizzazione all’estero è quello di fare in modo che i redditi generati dalla gestione d’impresa quali, tipicamente, le plusvalenze derivanti dalle cessioni di partecipazioni, siano sottoposti ad una minore tassazione.
Orbene, la fittizia localizzazione all’estero, che sottrae al Fisco italiano importi da esso tassabili, è nel mirino dell’Amministrazione Finanziaria, la quale, avvalendosi del sistema presuntivo, dell’alta tecnologia e dello scambio di informazioni con i Paesi esteri, riesce, talvolta efficacemente, a contrastare detto fenomeno. In tal modo essa recupera gettito non solo dalle imposte dovute, ma anche dall’ingente apparato sanzionatorio previsto.
Ma non sempre la società deve considerarsi esterovestita.
Nel prosieguo della nostra analisi esamineremo, preliminarmente, il caso di una società estera controllata da una società italiana, con uno dei componenti del consiglio di amministrazione residente in Italia.
Successivamente, tratteremo il caso di una holding estera che controlli una società italiana.
Prima di tutto, sottolineiamo che occorre verificare l’effettiva residenza della holding mediante il controllo dell’intera catena partecipativa e della residenza dei componenti del consiglio di amministrazione della stessa.
Il tutto alla luce della risposta ad interpello dell’Agenzia delle Entrate, n. 27 del 17 gennaio 2022. Oggetto del nostro prossimo articolo sarà, invece, l’orientamento dei giudici di ultima istanza.
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Il caso trattato dall’Agenzia delle Entrate, che si esprime con risposta ad interpello n. 27 del 27 gennaio 2022, riguarda una società estera, controllata al 51% da una società italiana. Uno dei componenti del CdA, che gode in totale di n. 2 amministratori, come anticipato, ha residenza italiana.
Orbene, la presunzione di cui il Fisco si avvale per qualificare come residente italiana una società avente residenza all’estero, si appura nell’art. 73, comma 5-bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR, di cui al D.P.R. 917/1986).
Detta presunzione scatta allorquando si verifichino le seguenti ipotesi:
- La società estera è controllata, anche indirettamente, da soggetti residenti in Italia, ai sensi dell’art. 2359 del Codice Civile;
- La società estera è amministrata da un CdA, o da altro organo equivalente competente nella gestione societaria, la cui composizione prevalente è data da consiglieri residenti in Italia.
Quella appena illustrata è una presunzione relativa, che è superabile mediante prova contraria.
Dunque, affinché scatti la presunzione di esterovestizione, è necessario che la società estera, che controlla la società italiana, sia a sua volta controllata da una società italiana, o amministrata, in via prevalente, da soggetti residenti in Italia.
Ebbene, l’Agenzia delle Entrate, mediante la risposta ad interpello in commento, delimita chiaramente la portata di tale presunzione, ammettendo che il Fisco italiano non possa considerare, ex se, esterovestita una società estera che controlli una società italiana, se la stessa non è a sua volta controllata da amministratori italiani o da società italiana!
Riteniamo che la portata interpretativa di tale norma sia di fondamentale importanza, in quanto pone dei limiti ad una presunzione che rischierebbe di incidere su quella che può essere una normale esigenza di localizzazione di impresa.
A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate rimarca utilmente la differenza tra l’esterovestizione e la residenza fiscale di una società, di cui all’art. 73, comma 3, del TUIR, determinata, alternativamente, da tre distinti fattori:
- sede legale in Italia;
- oggetto principale in Italia;
- sede amministrativa in Italia
per la maggior parte del periodo di imposta.
Fatte queste considerazioni, pare altrettanto utile precisare che, quand’anche la società estera non fosse considerata esterovestita, non è detto che non sia da considerarsi italiana, se il Fisco prova la fittizia localizzazione all’estero, e l’effettiva localizzazione in Italia, dettata dall’intento di un indebito vantaggio fiscale.
È opportuna, dunque, una valutazione per singolo caso di specie al fine di inquadrare la qualificazione fiscale della società stabilita all’estero, ed evitare ingenti sanzioni.
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Avv. Dario Marsella
Avv. Paolo Polastri
Avv. Eleonora Dell’Anna